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mercoledì 24 ottobre 2007

Libri pubblicati in italia che trattano di tesori sommersi

L'isola del tesoro sommerso Roland Morris

I fatti narrati in questo libro si svolgono negli anni '60 e raccontano dell'avventurosa ricerca e ritrovamento del relitto della nave da guerra britannica "Association", che naufragò in una notte di ottobre del 1707 al largo delle isole Scilly. Lunga 50 metri, 30 fuori tutto, aveva 640 uomini d'equipaggio e trasportava 30,6 tonnellate di palle di cannone (fuse e battute) e 9,7 tonnellate di polvere nera, oltre ad un tesoro costituito da un ingente quantitativo di monete d'oro e d'argento. Queste pagine, così avvincenti, sono soprattutto una testimonianza emozionante dello spirito che pervadeva il mondo subacqueo di quegli anni. Bisogna infatti tener conto delle mille difficoltà incontrate, legate a un'attrezzatura che allora era ancora molto rudimentale e poco affidabile. Roland Morris, oltre a essere l'autore del libro, è stato anche l'ideatore e il finanziatore dell'impresa. Un gran racconto di avventura, uno straordinario reportage che percorre tutte le tappe della spedizione e che non potrà non appassionare, non solo i subacquei ma anche gli amanti del genere avventuroso.

Grand Bahama
L'isola del tesoro

di Enrico Cappelletti

1964, Freeport. Isola di Grand Bahama. Qui inizia e si conclude in un breve lasso di tempo la straordinaria avventura di quattro subacquei che ritrovarono a pochi metri di profondità migliaia di monete d'argento spagnole del '600, imbattendosi nel relitto di una nave sconosciuta. L'autore, allora croupier al Montecarlo Casino dell'isola, racconta come i quattro giovani scopritori, incapaci di gestire tanta inaspettata fortuna, solamente un anno dopo il ritrovamento furono costretti a lasciare l'isola inseguiti dai creditori, abbandonando una parte del tesoro in fondo al mare e quella recuperata in mano a personaggi senza scrupoli.


L'oro degli abissi di Gary Kinder

Tre sono le date fondamentali di questa storia che l'autore ha scritto, vivendone di persona la parte finale. Nel 1848 un uomo trova una pepita d'oro puro in California. Si scatena così la febbre dell'oro che attira all'ovest tanta gente in cerca di fortuna. Nel 1857 "Central America", una nave a vapore, affonda a largo della Carolina con il suo carico di oro frutto del duro lavoro di anni, dei cinquecento passeggeri. Molti si salvano, grazie al tempismo del comandante che li fa trasbordare su un brigantino di passaggio. Poi "Central America" sparisce tra le acque con il suo carico di oro e di uomini. Nel 1984 Tommy Thompson, un giovane ingegnere con il pallino delle invenzioni decide di tentare il recupero, basandosi su ardite teorie scientifiche. Qui parte la storia che l'autore condisce di scene avventurose, in un'alternanza di flash back che incalzano fino al recupero e poi ancora fino alla sentenza del tribunale, che attribuisce all'intrepido ricercatore gran parte dei beni recuperati. Un intrecciarsi di coraggio, avventura e scoperte scientifiche, che hanno portato al recupero del più grande tesoro di tutti i tempi.

L'Oro dell'Elba Operazione Polluce di Enrico Cappelletti e Gianluca Mirto

Sulla copertina del libro troneggia uno splendido gioiello: un pendente, a forma di croce spagnola, oro 18 carati, con 17 smeraldi. E' solo uno dei numerosissimi monili, oltre a 170.000 monete tra oro e argento, facenti parte del preziosissimo carico del "Polluce", una nave affondata nel 1841 al largo dell'isola d'Elba. Nel 2002, la polizia inglese ha restituito alle autorità italiane un ricco bottino che un gruppo di inglesi aveva illegalmente recuperato dal relitto. Avvalendosi di documenti, fotografie, leggende raccontate sull'isola, i due autori hanno ricostruito tutta la vicenda della nave, scoprendo che il naufragio probabilmente non fu del tutto accidentale, ma provocato dalla compagnia rivale per motivi economici e politici, sullo sfondo dei moti carbonari e delle lotte per l'indipendenza e l'unità d'Italia. Ne viene fuori una storia avvincente, avventurosa e fitta di misteri che si dipanano nel corso dei secoli. Ma l'enigma fondamentale rimane irrisolto: quanto ancora giace sul fondo del mare, proprio davanti alle coste dell'Elba? Recuperare la nave e il tesoro sarebbe di fondamentale importanza.

Atlante dei tesori sommersi
Storia, ubicazione, descrizione, mappe e tesori delle navi scomparse in mare
di Nigel Pickford

E' una vera e propria enciclopedia del relitto, che Nigel Pickford, appartenente ad una famiglia che da più di 50 anni opera nel campo della ricerca e del recupero delle navi, ha scritto sulla base del suo immenso archivio.E' praticamente divisa da tavole di collocazionetemporale dei naufragi, cui seguono le descrizioni delle navi, con le caratteristiche i disegni le eventuali foto del relitto e del materiale recuperato. Non mancano la descrizione delle attrezzature e delle tecnologie di recupero, oltre ad uno studio del tipo di imbarcazione. Dalle navi vichinghe, all'Invincibile Armata, dal "Bonhomme Richard" al "Titanic" ed alla "Andrea Doria", sono 40 i relitti di cui viene presa iconsiderazione la vicenda, la collocazione e l'eventuale storia del recupero. A conclusione, le cartine che localizzano ben 1400 relitti in tutto il mondo ed un catalogo alfabetico che ne schematizza le caratteristiche tecniche, la data di affondamento, il tipo di carico e la cronologia delle immerisoni di recupero.

L'oro del Diavolo

Una storia reale che supera anche le piu' incredibili storie di cacciatori di tesori. Ted Falcon-Barker esiste realmente ed e' ossessionato dalla caccia ai tesori; a furia di consultare mappe e archivi ne ha rintracciato uno su una scogliera sommersa, nella zona di mare della "Scogliera dell'argento", a nord di Haiti-Santo Domingo. Nel 1967, insieme a Jill Reed, giovane giornalista, e a Hugh McDonald, marinaio scozzese, organizza una spedizione e riesce in parte a recuperare il tesoro di William Phips, enigmatico avventuriero del Seicento.

sabato 6 ottobre 2007

Tesori Nascosti

Tesori nascosti.. . Da quando le navi hanno cominciato a solcare i mari ci furono dei naufragi. Molte navi sono affondate con i loro equipaggi a causa degli uragani, degli scogli insidiosi, delle battaglie navali e delle scorrerie di pirati. Ci sono stati perfino dei capitani che hanno aperto delle falle nelle proprie imbarcazioni per ricavarne un vantaggio. Ogni nave colata a picco può contenere un tesoro sommerso. Ai nostri giorni, gli spiriti avventurosi sono soprattutto affascinati dal pensiero dei galeoni spagnoli del '500 e del '600, affondati mentre trasportavano oro e argento dal Nuovo Mondo ai forzieri europei. Tuttavia non bisogna dimenticare che le navi spagnole erano registrate accuratamente e che le operazioni di salvataggio iniziavano subito dopo che la notizia del naufragio era giunta a terra. Naturalmente a quel tempo i soccorritori disponevano di attrezzature insufficienti, ma non dobbiamo sottovalutare l'abilità eccezionale dei tuffatori indigeni. Comunque i sub moderni hanno ricuperato enormi ricchezze da relitti gia ispezionati in precedenza dieci o quindici volte con attrezzature meno perfezionate di quelle attuali. In passato furono compiuti pochi tentativi di ricuperare navi naufragate in acque profonde al disotto del limite di immersione in apnea. Esse giacciono ancora in gran parte sul fondo del mare, in attesa che coraggiosi sub vadano a scoprirle. I galeoni spagnoli non sono i soli velieri affondati con il loro prezioso carico. Nel Mediterraneo ci sono relitti di navi fenice, egiziane, greche e romane e, tra queste, alcune erano certo cariche di oro africano. Le navi che seguivano la rotta da Manila al Sud America trasportavano sicuramente porcellane asiatiche e altri oggetti preziosi. Così accadde che parte di questi tesori cinesi affondassero nelle acque del Pacifico meridionale. Lungo tutte le grandi rotte percorse da navi mercantili si trovano ancora molti relitti. Una delle prime rotte mercantili attraversava l'oceano indiano. I marinai, infatti, impararono ben presto a navigare sfruttando i monsoni che all'andata soffiavano in una direzione e al ritorno, nella stagione successiva, in senso opposto. Certo i naufragi non mancarono lungo quei percorsi molto battuti. Gli eventuali relitti di quelle navi, che risalgono all'era precristiana, interesserebbero di più gli archeologi che non i cacciatori di tesori. E' difficile localizzare i tesori sommersi, certo molto più difficile di quanto credono i bambini che sognano di trovare una mappa smarrita segnata con una X. A volte occorrono anni di ricerche prima di poter organizzare una spedizione; si devono decifrare manoscritti redatti in lingue antiche e predisporre costose ricognizioni. infine il fortunato scopritore del tesoro raramente può tenerselo tutto per sé. Un cittadino italiano e uno francese, indipendentemente dall'area in cui ricuperano un relitto, devono versare praticamente il 100 per cento del materiale trovato al governo che è il solo a decidere quale compenso spetti allo scopritore. Secondo le disposizioni dei governi spagnolo e portoghese le antiche navi, che un tempo battevano la loro bandiera, appartengono ancora a questi due paesi. Se un relitto è localizzato al largo delle coste della Florida, entro le acque territoriali, un quarto del tesoro spetta allo stato. Ma, nonostante questi imprevisti, ci sono ancora uomini che si sentono prudere le mani appena odono pronunciare le magiche parole «tesori sommersi».
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Relitti e tesori sommersi

C'è chi si è spinto ad affermare che i relitti custoditi dai fondali di mari e oceani sarebbero, calcolando il tutto a partire da circa 3000 anni fa, più di tre milioni. Questo genere di cifre lasciano sempre un po' perplessi: come diavolo vengono calcolate? Registri di navigazione con dati attendibili si hanno a partire dall'epoca delle prime grandi navigazioni, ovvero intorno alla fine del 1400. Sui dati relativi alle navi fenicie affondate nel 600 a.C. sembra doveroso dubitare.Eppure è fuor di dubbio che nella quiete delle profondità marine le navi siano tante; se tre milioni non sono una cifra rigorosamente calcolata, sono però assolutamente verosimili.
Il 12 settembre del 1857 la nave da trasporto Central America affondò al largo della Carolina del Nord, a causa di un uragano. Con una scelta di assoluta imprudenza, 60 banche nord americane avevano stipato la nave di lingotti e monete d'oro, per un valore complessivo intorno ai 200 milioni di dollari. Finirono tutti in fondo al mare e con essi, purtroppo, anche 425 persone che si trovavano a bordo.E qui sta il punto. In tremila anni, quanto oro è finito in fondo al mare? Quante pietre preziose? Non solo: quanti reperti, di grande valore archeologico e artistico? Anche in questo caso possiamo dire che la mancanza di una valutazione precisa non ci allontana dalla sensazione che immense siano le ricchezze custodite sotto le onde.Ma una cosa vale tanto se rendere "praticabile" tale valore non richiede costi che lo travalicano. Alcune regioni italiane, per esempio, sono ricchissime di oro, ma si tratta di una presenza molto dispersa: per recuperare un grammo bisognerebbe movimentare 5 tonnellate di terra. Non conviene.
La svolta nelle tecnologie di perlustrazione dei fondali è arrivata dagli AUV, Autonomous Underwater Vehicle, ovvero veicoli che non hanno bisogno di essere guidati da umani né di un controllo in remoto, ovvero da una nave in superficie. Gli AUV sono in grado di fare da soli il lavoro, come già avviene per alcune sonde spaziali inviate su pianeti come Marte. La diminuzione dei costi è notevole ma anche l'efficienza sale perché gli AUV sono molto più rapidi nella navigazione e nel rilevamento. Qui vediamo una illustrazione di Xanthos, un AUV messo a punto dal MIT di Boston. C'è un web che descrive Xanthos ed altri suoi "colleghi
Cercare tesori in fondo al mare è un'attività che ha sempre dovuto fare i conti con il rapporto costi/ricavi, con il risultato che i migliori risultati si sono ottenuti dai pazienti lavori di ricerca fatti da singoli o piccoli gruppi, provvisti di attrezzature subacquee non troppo costose.Si sono visti all'opera anche piccoli sommergibili, con umani a bordo o teleguidati, e la spedizione alla ricerca del Titanic ne è stato un notevole esempio. Su grandi obiettivi il gioco vale la candela, ma se si vuole passare a un'attività di perlustrazione sistematica i conti non tornano.
Non tornavano, sarebbe meglio dire. La tecnologia del rilevamento sottomarino ha fatto passi da gigante negli ultimi anni, e ora ci ritroviamo con strumenti in grado di individuare oggetti delle dimensioni di una bottiglia anche a distanza di centinaia di metri. Fino a poco tempo fa le tecniche di localizzazione consentivano di esplorare 5 o 6 miglia quadrate di mare in un giorno di lavoro. Oggi si è passati a dieci volte tanto, con costi scesi di altrettanto.
Tutto ciò sta creando un notevole problema, con un'interessante inversione di tendenza nelle culture del libero mercato. Di chi sono, per esempio, i lingotti della Central America? Le leggi del mare ci dicono che il relitto è di che lo trova, ma adesso troppo oro sta luccicando in mezzo al blu e ai pesci. Gli Stati si stanno facendo avanti, siglando accordi sulla proprietà dei relitti. Anche l'Unesco sta formulando una proposta internazionale di regolamentazione dei recuperi, pensando non tanto all'oro ma ai patrimoni di interesse culturale che potrebbero finire in un vortice di aste e mercanti.
Il dato è evidente: se migliaia di piccole nuove imprese "subacquee" si tuffano a cercare patrimoni in tutti i mari, può uscirne un vero pandemonio. Ci vogliono delle regole, anche per il mondo dei relitti

I grandi tesori sommersi

I grandi tesori sommersi
Immaginate tutto l’oro, l’argento e le pietre preziose estratti dalle viscere della Terra nel corso della Storia. Pensate ora che un quarto di tutto questo immane tesoro sia nascosto. Dove? Nelle profondità degli abissi marini, sigillato nei forzieri di velieri, galeoni e vascelli affondati. Oggi, la caccia a queste ricchezze sommerse è aperta. Ed è, più che mai, spietata. Centinaia di navi che solcano gli oceani cariche di diamanti, gioielli e monete d’oro: sono i primi anni del 1500 e la conquista delle Americhe dà il via a un intenso traffico tra il vecchio continente e le nuove colonie, incredibilmente ricche di tesori. Si moltiplicano allora viaggi rischiosi e pieni di insidie, che spesso finiscono nel buio dei fondali marini. Per avere un’idea di quanto fossero affollate le rotte oceaniche, basta pensare che solo a Siviglia e solo nei trent’anni dal 1530 al 1560, i registri portuali annotano 101 tonnellate d’oro e 567 d’argento in arrivo dal Nuovo Mondo. Ma sono perlomeno altrettanti i carichi che, in quegli stessi anni, non giungono mai a destinazione vittime di uragani, bufere e pirati. I velieri colati a picco negli ultimi cinque secoli trasportavano tesori il cui valore complessivo è stimato in oltre 400 miliardi di euro. Oggi le tecnologie satellitari e digitali rappresentano, per i nuovi corsari del mare, raffinati strumenti con cui individuare i relitti inabissati e depredarli delle loro ricchezze sommerse. Non è un caso che negli scorsi mesi si siano moltiplicati gli annunci di avvistamenti spettacolari, che accendono però furiose polemiche internazionali. Al largo della Georgia, i robot subacquei della società d’affari Odyssey identificano il relitto dell’SSRepublic, un battello naufragato nel 1865 che trasportava 20 mila monete d’oro. Negli stessi giorni in Cornovaglia, all’altro capo dell’oceano, il famoso “cacciatore di tesori” Colin Martin, annuncia invece di avere localizzato il President, lo storico veliero affondato nel 1683 insieme al suo eccezionale carico di diamanti, valutati oltre 150 milioni di euro. Ma gli occhi dei predatori sono rivolti soprattutto al largo della Florida. È lì, infatti, che il primo novembre del 1755 si inabissò il favoloso galeone Notre Dame de la Deliverance. La Deliverance trasportava oro dalle miniere messicane alla corte spagnola di Carlo III: 15 mila dobloni, mezza tonnellata di lingotti, 153 forzieri di polvere e molto altro ancora. Valore? Tre miliardi di euro. Per il recupero della Deliverance è però esplosa una vera e propria bagarre: la Spagna reclama infatti la proprietà di tutto il carico, ma la società privata americana che ha ritrovato il galeone, non vuole cedere il bottino. E non è tutto. All’epoca del naufragio la flotta spagnola era impegnata nella guerra contro la Gran Bretagna: per il trasporto delle merci doveva quindi avvalersi di navi della Compagnia Francese delle Indie Occidentali. Ecco perché anche Parigi potrebbe ora reclamare parte del tesoro… La sorte di questi tesori, oggi come allora, sembra in grado di cambiare i rapporti tra le nazioni. La Storia avrebbe preso strade diverse se alcuni carichi d’oro fossero giunti a destinazione al momento giusto. Il caso più emblematico è quello del vascello Sussex, al centro di una furibonda disputa tra Madrid e Londra. Parliamo della leggendaria “Nave d’oro”. Come sarebbe cambiata la Storia se il Sussex avesse raggiunto la sua destinazione? Lo scopo del viaggio segreto dell’ammiraglio Wheeler e della sua Nave d’Oro era infatti quello di portare un “omaggio” che convincesse il duca Vittorio Amedeo di Savoia a continuare la guerra contro la Francia di Luigi XIV. Il Re Sole. Ma il naufragio di Wheeler cambiò tutto. Amedeo II, sentendosi abbandonato, passò infatti dalla parte dei francesi, non conoscendo l’entità del tesoro a bordo del Sussex: una vera e propria montagna d’oro e d’argento, il cui valore attuale è stimato in 4 miliardi di euro. Inabissato al largo di Gibilterra giace insomma il più grande tesoro mai nascosto nel mare. 4 miliardi di euro. Una cifra da capogiro che – come si accennava precedentemente – sta portando a una rottura diplomatica tra Spagna e Inghilterra. Ma anche in Italia, il mediterraneo custodisce tesori ragguardevoli. È di quest’estate il giallo del Pollux, il piroscafo naufragato al largo dell’isola d’Elba. Un intrigo internazionale, risolto solo grazie alla collaborazione dei Carabinieri con gli ispettori di Scotland Yard. È il febbraio del 2000 quando un gruppo di sub inglesi porta l’assalto al relitto del Pollux. Il piroscafo affondò al largo delle coste elbane nel 1841, speronato dal Mongibello, un postale dei Vapori Napoletani. Puro incidente? Difficile crederlo, visto che il Pollux trasportava qualcosa che “non doveva raggiungere Genova”. Si trattava probabilmente di finanziamenti inglesi per i patrioti Italiani. Oro, monete, e smeraldi valutati trecento milioni di euro. Durante le immersioni, testimoni raccontano che la nave britannica era pattugliata da marinai armati che distruggono il relitto e spariscono con una piccola parte del bottino: monete e reperti per 2 milioni di euro. Ma a questo punto entra in gioco Scotland Yard: con l’aiuto dei nostri Carabinieri tutti i tasselli vengono ricostruiti. C’è solo da aspettare che i “corsari” si tradiscano. E il passo falso avviene puntualmente nell’ottobre 2002: a due anni di distanza dal furto, i quattro sub inglesi mettono in vendita i reperti del Pollux nelle più famose case d’asta londinesi. La loro cattura è immediata e il tesoro viene interamente restituito all’Italia. Sul fondo del Tirreno rimarrà però, ormai irrecuperabile, la maggior parte del tesoro. Immense fortune, viaggi avventurosi su velieri da sogno, mappe segrete che nascondono i luoghi del naufragio. Ci sono tutti gli ingredienti per accendere la fantasia di ricchi imprenditori senza scrupoli. Sono i “nuovi pirati”, che al posto di sciabole e uncini mostrano scafandri e detector satellitari. Ma gli sterminati fondali oceanici sono così ricchi di tesori che sarà difficile fermarli.